LA COSA PIU’ DIFFICILE? LASCIARLI ANDARE

Riccardo ha da poco compiuto dieci anni e, da qualche tempo, soprattutto da quando è in vacanza, sto iniziando a scorgere i primi, embrionali, timidi accenni di quella voglia di indipendenza che, prima di quanto io immagini, arriverà a travolgermi come uno tsunami.
Al suo desiderio di libertà, ho reagito provando disagio e un pizzico di paura.
Allora ho capito. Ho capito che tra le prove più difficili a cui ogni genitore è chiamato nel corso della vita, quella che prevede che tu li lasci andare sia la più difficile.
Li cresciamo proteggendoli da qualsiasi cosa. Dal cibo che ingeriscono, dalle macchine in strada, dal sole, dal freddo, dalle onde del mare. Viviamo tutte le paure possibili ma crediamo (magari fosse così!) di avere ogni cosa sotto controllo ed in fondo è una sensazione naturale dato che stanno costantemente sotto la nostra ala.
Ma che succede quando vorranno uscire di casa? Mille raccomandazioni, certo, ma non mi basterà. “Non bere / non correre in macchina / non prendere droghe / non fidarti di chi non conosci” saranno frasi che dirò allo sfinimento mentre i miei figli infileranno le chiavi in tasca e mi saluteranno con un veloce cenno della mano, alzando gli occhi al cielo.
E poi?
E poi niente. Come tutti i genitori che ci sono passati prima di me, anche io non dormirò finché non sentirò la chiave che gira nella serratura o finché non arriverà il messaggio “Tutto ok” (ho due maschi non posso aspettarmi testi più lunghi di due parole).
E’ questo il mio destino: vivere in un costante stato di preoccupazione, perché non importa se saranno alti un metro e ottatantacinque, avranno il vocione, la barba e la carta di credito.
Io li guarderò e li vedrò correre verso di me, con le gambette secche, le ginocchia sbucciate, i capelli scarmigliati e la bocca sdentata.
Per i genitori restiamo sempre bambini.
E forse è proprio il bello di questo straordinario, complicatissimo mestiere.

LA DIGNITA’ DEL BOTOX

Premessa: non sono contraria a filler e botox (purché usati con intelligenza). Anzi, dopo i 30 anni li dovrebbe passare la mutua e se entro in politica vi prometto che mi batterò per questo.

Ciò detto, trovo parecchio ridicole quelle che ne fanno palesemente uso e poi pubblicano selfie con didascalie tipo: “Ventenni sucate / Non ho niente da invidiare a una ventenne” e altre minchiate.

BELLA MIA se hai la faccia liscia non è merito tuo ma del dottore che ti ha fatto le punturine.
Se hai la pelle liscia non è perché sei stata miracolata da madre natura o fai tanto sport e mangi sano.

La forza di gravità è democratica e arriva per tutte.

Le ventenni, quindi, si preoccupano dei tuoi suca tanto quanto Melania Trump si preoccupa dei senzatetto. Le ventenni, cara mia, se ne sbattono dei tuoi suca perché hanno la pelle liscia senza spendere quattrini, senza sottoporsi a sedute ogni 4, 6 mesi ma soprattutto perché SONO ventenni mentre tu sei una donna matura che dovrebbe solo preoccuparsi di invecchiare dignitosamente.

Perché a questo servono i filler e il botox: semplicemente ad invecchiare dignitosamente.

QUANDO MI DISSERO: VOLA BASSO

Parlo raramente del mio lavoro anche perché il diritto civile non offre storie degne di nota soprattutto quando ci si occupa di recupero crediti o contratti. Diverso è il caso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, un campo che ho sempre seguito con maggiore attenzione e passione.

Si tratta di una buona fetta del diritto civile che va dalla tutela del consumatore (una vacanza rovinata, l’acquisto di un veicolo usato, problemi con la telefonia), alla responsabilità professionale medica (un intervento chirurgico mal eseguito), alla richiesta di risarcimento dei danni subiti a causa di un allagamento provocato dal vicino del piano di sopra.

Oggi vi voglio raccontare di un mio piccolo, grande successo al quale credevo solo io. Oddio, in realtà ci credeva anche il cliente ma la maggior parte dei clienti crede di aver ragione anche quando è nel torto, quindi fa più scena se vi dico che ci credevo solo io.

La storia è molto semplice. La cliente ha un’agenzia di viaggi. Un giorno decide di passare ad altro operatore telefonico perché più conveniente ma qualcosa non va e le cinque linee telefoniche non funzionano. In pratica solo una linea è funzionante e quando quella è occupata (praticamente sempre), l’agenzia risulta irreperibile. Tutti i reclami al servizio clienti finiscono nel nulla. Passano le settimane, la titolare è disperata, i clienti le scrivono email inviperite in cui le danno della poco seria, della buffona e dichiarano di rivolgersi ad altra agenzia. Insomma un disastro.

La titolare viene quindi da me. Promuovo immediatamente un ricorso d’urgenza per chiedere la disattivazione delle linee. Passano un paio di mesi (il termine “urgenza” è relativo soprattutto in tribunale), otteniamo la disattivazione e la cliente può finalmente rivolgersi ad un altro gestore telefonico. Intanto però è rimasta sei mesi senza telefono e i danni sia economici che all’immagine professionale sono evidenti.

La cliente è disponibile ad accettare una somma “simbolica” di poche migliaia di euro pur di chiudere la vicenda ma la compagnia telefonica rifiuta categoricamente (pure in maniera sgarbata e arrogante). La causa civile è, a quel punto, inevitabile.

Passa qualche anno – le cause in tribunale durano in media dai tre a cinque anni -. Come spesso accade, col tempo la rabbia del cliente si trasforma in frustrazione ed iniziano le consuete domande: “Ma quanto ci vuole? / Forse dovevo chiedere meno / E se perdiamo?”. A questo si aggiunga che la cliente nel frattempo si fidanza con un collega, il quale (poco correttamente) manifesta grosse perplessità sulla causa e sulle mie richieste mettendomi, inevitabilmente, in cattiva luce. Insomma il messaggio che passa è che sì, abbiamo ragione, ma cosa ci aspettiamo? Anni di causa e se ci riconoscono quattro, cinquemila euro ci dobbiamo baciare i gomiti. Vale la pena investire tempo e denaro per una somma del genere?

Io rispondo: sì.

Arriva la sentenza. La compagnia telefonica è responsabile e deve risarcire il danno. Il danno da risarcire ammonta a 100.000,00 euro oltre spese legali.

Sì avete letto bene: centomila euro.

Io ho dovuto leggere quella cifra parecchie volte, ve lo confesso. Con tutti quegli zero e le mani che tremavano non è stato facile.

E’ stata la prima volta che anziché chiamare il cliente al telefono, ci sono andata di persona, sventolando la sentenza come si fa con le bandiere.
Poco professionale, lo so, ma in fondo la professionalità l’avevo già dimostrata sul campo.

SOCIETA’ DI NETWORKING: UN NUOVO MODO PER FARE BUSINESS

Dopo mesi in cui ho rimuginato, mi sono documentata, ho studiato e valutato aspetti positivi e negativi, ho deciso di aderire ad un progetto volto al networking e incentrato sul marketing referenziale.

Sono entrata quindi a far parte di BNI un’organizzazione a livello mondiale che si occupa unicamente di creare gruppi composti da professionisti, imprenditori e artigiani del medesimo territorio con lo scopo di aumentare il giro di affari e la qualità del lavoro attraverso lo scambio libero, etico e gratuito di referenze. In ogni gruppo di lavoro c’è solo collaborazione e non concorrenza in quanto vige una regola, fondamentale, ed è che ciascun membro sia l’UNICO rappresentante della sua categoria.
I gruppi sono davvero variegati: c’è il notaio, il carrozziere, il commercialista, la parrucchiera, l’avvocato, l’assicuratore, l’idraulico ecc…  

Tutti questi professionisti si incontrano, si conoscono, stringono relazioni. E’ un ritorno all’antico, a quando le persone si incontravano al mercato stringevano mani e concludeva uno affari. 

La prima volta che me ne hanno parlato, ho subito pensato a quei “giochini piramidali” (vi ricordate l’aeroplanino?) o  multilevel o a relazioni obbligatorie in cui a chi presenta chi spettano “premi”, “regalie”, “provvigioni”. Niente di tutto questo. Non avrei mai aderito.

E’ tutto assolutamente libero. Se un membro del gruppo o un suo conoscente si rivolge a me verrà trattato esattamente come il cliente che viene “da fuori”. Io non ho nessun obbligo nei suoi confronti né di chi mi ha mandato il cliente.

Lo trovo un modo molto intelligente di fare affari. Io che lavoro esclusivamente con il passaparola, ogni mattina mi sveglio e devo sperare che un mio cliente o ex cliente parli bene di me e che mi mandi clienti nuovi. E’ così che mi arrivano le pratiche, da sempre.
Il punto è che questo meccanismo, assolutamente casuale, è lento e per nulla costante.
Questo meccanismo, dentro il gruppo di lavoro, è invece STRUTTURATO e stimolato OGNI SETTIMANA perché ogni settimana io mi interfaccio con un gruppo di professionisti, artigiani e imprenditori che mi conoscono, sanno come lavoro, sanno a quali clienti mi rivolgo e possono presentarmi con i dovuti modi ai loro contatti. E voi sapete meglio di me che un contatto a cui veniamo presentati in un certo modo, più facilmente si trasformerà in un cliente.

 

 

IL NEGOZIANTE BISBETICO-MISERICORDIOSO

Vi devo confessare una cosa che mi infastidisce assai: il negoziante bisbetico-misericordioso.
Sarà capitato anche a voi di presentarvi in un esercizio commerciale ed essere sprovvisti dello scontrino / ricetta / delega / tessera / autorizzazione ecc… e venire ripresi per una serie interminabile di minuti dal negoziante.
La frase di rito, solitamente, inizia con: “Guardi noi non facciamo così ma, per questa volta, chiudo un occhio.”
Fin qui nulla di male.
Insomma: sono nel torto, tu mi stai facendo un favore, io te ne sono grata.

Certo, non è che mi stai regalando una laurea in Astrofisica o un loft sulla quinta strada. Magari siamo in lavasecco e mi stai semplicemente consegnando i vestiti alle ore 15.15 anziché dopo le ore 17.00 come scritto sulla ricevuta che io avrei dovuto leggere.

Ecco. A me la reprimenda di dieci minuti, magari davanti a cinque o sei persone (così la parte dell’esercente misericordioso viene fuori meglio) come se io fossi una scolaretta maleducata, mi dà un urto che voi neppure potete immaginarvelo.

C’è un limite – quello in cui mi dici che non potresti farlo ma lo fai ed io ti rispondo grazie – oltre il quale l’unica cosa che mi viene da dire è:

“Senta, se vuole farmi il favore me lo faccia e la ringrazio, altrimenti, se intende farmelo pesare per quindici minuti siamo a posto così. Uscita da qui, ci sono altri dieci negozi come il suo, lei non è indispensabile per la mia esistenza.”

Sì, è esattamente quello che ho risposto questa mattina.