LA COSA PIU’ DIFFICILE? LASCIARLI ANDARE

Riccardo ha da poco compiuto dieci anni e, da qualche tempo, soprattutto da quando è in vacanza, sto iniziando a scorgere i primi, embrionali, timidi accenni di quella voglia di indipendenza che, prima di quanto io immagini, arriverà a travolgermi come uno tsunami.
Al suo desiderio di libertà, ho reagito provando disagio e un pizzico di paura.
Allora ho capito. Ho capito che tra le prove più difficili a cui ogni genitore è chiamato nel corso della vita, quella che prevede che tu li lasci andare sia la più difficile.
Li cresciamo proteggendoli da qualsiasi cosa. Dal cibo che ingeriscono, dalle macchine in strada, dal sole, dal freddo, dalle onde del mare. Viviamo tutte le paure possibili ma crediamo (magari fosse così!) di avere ogni cosa sotto controllo ed in fondo è una sensazione naturale dato che stanno costantemente sotto la nostra ala.
Ma che succede quando vorranno uscire di casa? Mille raccomandazioni, certo, ma non mi basterà. “Non bere / non correre in macchina / non prendere droghe / non fidarti di chi non conosci” saranno frasi che dirò allo sfinimento mentre i miei figli infileranno le chiavi in tasca e mi saluteranno con un veloce cenno della mano, alzando gli occhi al cielo.
E poi?
E poi niente. Come tutti i genitori che ci sono passati prima di me, anche io non dormirò finché non sentirò la chiave che gira nella serratura o finché non arriverà il messaggio “Tutto ok” (ho due maschi non posso aspettarmi testi più lunghi di due parole).
E’ questo il mio destino: vivere in un costante stato di preoccupazione, perché non importa se saranno alti un metro e ottatantacinque, avranno il vocione, la barba e la carta di credito.
Io li guarderò e li vedrò correre verso di me, con le gambette secche, le ginocchia sbucciate, i capelli scarmigliati e la bocca sdentata.
Per i genitori restiamo sempre bambini.
E forse è proprio il bello di questo straordinario, complicatissimo mestiere.

COME SPIEGO L’AMORE PER UN FIGLIO?

E non lo so spiegare cos’è l’amore per un figlio.
Mi aiuto pensando a tutte le cose meravigliose di questo mondo:
il mare che sbuca dopo la curva, la musica, il sole che sorge, l’abbraccio della nonna, il crepitio del fuoco quando fuori nevica, il “Ci sono qua io”, la fine degli esami, il fiore che cresce in mezzo alla roccia, gli occhioni del cane, un regalo inaspettato, il primo bacio, il rumore del ruscello, la doccia calda dopo la pioggia, camminare scalzi, la birra ghiacciata, Bali, il bottone dei jeans che si chiude, l’accredito dello stipendio, il “Sono fiero di te”, il vestito da sposa, il profumo del gelsomino, il colpo di fulmine, i raggi di sole che bucano le nuvole, l’abbraccio alla stazione, il fruscio delle foglie, il cielo azzurro, “Il male non c’è più”, la solidarietà degli estranei, la frutta, svegliarsi col cinguettio degli uccelli, la favola della buonanotte, i film che fanno commuovere, la luce che torna, l’aereo che atterra, il “Sì lo voglio”, le candeline sulla torta, il pane caldo, il “profumo di buono”, la sua giacca sulle spalle, l’acqua cristallina e la sabbia bianca, il traguardo, le lacrime di gioia, l’odore dei libri, lo sguardo dei genitori, la tua cameretta immutata nel tempo, gli album con le foto stampate, gli alberi e tutta la straordinaria, impeccabile organizzazione di madre natura.
Ora, io non lo so spiegare cos’è l’amore per un figlio ma quando li guardo e li stringo forte a me, tutte le sensazioni che le cose meravigliose di questo mondo mi danno, stanno lì, concentrate tra quelle braccia piccole e le mie e niente regge il confronto. Un diamante diventa paccottiglia, l’oceano una pozza d’acqua, il cielo un fazzoletto sopra la testa.
Non lo so spiegare cos’è l’amore per un figlio ma so che mi fa pungere gli occhi ed accartocciare il torace il solo pensiero che siano miei. E so che il loro respiro piccolo sul mio viso cura tutti i mali.
No, non lo so spiegare cos’è l’amore per un figlio ma se io, per loro, sono indispensabile loro, per me, sonola salvezza.