LA RISPOSTA GIUSTA E’ IL MULTICOLORE

E’ successo all’improvviso, in un pomeriggio invernale qualunque, in cucina, con la cena da preparare ed il bambino sul seggiolone che giocava con il Didò. Aveva diversi blocchetti di vari colori e voleva mischiarli tutti insieme. Gli ho detto che non si poteva, che sarebbe venuto un pasticcio e che era meglio giocare separatamente con l’arancione, il blu, il verde ed il rosa. Tutt’al più avrebbe potuto accostarli ma mai mischiarli.
Ho continuato a cucinare ma quando mi sono voltata per dare un’occhiata a mio figlio, ho visto che aveva fatto l’opposto di ciò che gli avevo detto. Aveva preso i vari blocchetti di Didò e li aveva impastati tutti insieme. Un unico blocco multicolore.
Stavo per rimproverarlo. Per un attimo ho provato quasi fastidio per quell’ammasso sovversivo.
Poi ho capito.

Ho capito che aveva ragione lui. Che bisogna smettere di avere degli schemi mentali. Che io dovevo smettere di averne.
Dove stava scritto che i colori dovessero rimanere separati? Chi ci impediva di creare animaletti color arcobaleno ed uscire dallo scontato maialino rosa o dal pesce rosso?
Il piccolino, a soli due anni, mi aveva appena aiutato. Mesi di tormenti e lui, con un gesto apparentemente così semplice, mi aveva dato la soluzione: dovevo uscire dagli schemi che mi ero autoimposta.
A lungo ho pensato che la mia vita dovesse andare avanti così, con ogni colore ordinatamente al suo posto. Perché? Non vi so rispondere. Forse, semplicemente, avevo bisogno di tempo e avevo bisogno che qualcuno mi aprisse gli occhi anche se, lo ammetto, non mi aspettavo che quel qualcuno fosse il mini me.

Non posso sapere come sarà il 2017.

So per certo che mischierò i colori, che non mi accontenterò dei no che arriveranno – quando avrò la fortuna di ricevere una risposta – che studierò e mi rimetterò in gioco.
Forse ci vorrà molto tempo, forse non cambierà assolutamente nulla ma almeno non avrò rimpianti. Potrò dire di non essermi rassegnata a vivere tra file di colori separati perché la rassegnazione non fa parte di me. Anche se dovessi fallire, potrò dire di averci provato, fino all’ultimo.

Ci vuole coraggio, anche per mischiare i colori.

Fatelo anche voi, sempre.

Io intanto vado a scrivere il curriculum.

Vivian Maier, la donna che non seppe mai quanto grande fosse il suo talento

Immaginate di vivere un’esistenza silenziosa e anonima, sole, senza marito, figli. Di fare il lavoro di bambinaia per quarant’anni anche se non vi piace. Immaginate di avere una grande passione, la fotografia, e non pensare ad altro. Immaginate di usare tutti i vostri risparmi per acquistare una macchina fotografica, passare ogni minuto di tempo libero ad immortalare qualsiasi cosa vi circondi e di produrre una quantità mostruosa di negativi senza avere i soldi per poterli sviluppare perdendo così la possibilità di vedere il risultato del vostro lavoro. Immaginate di morire sole, in una casa di cura, con le finanze talmente ridotte all’osso che i vostri beni personali contenuti in un box vanno all’asta. Immaginate che mentre voi state morendo in solitudine, qualcuno trovi i vostri oggetti, faccia sviluppare i rullini, si accorga che in quelle fotografie c’è qualcosa di magico, speciale, magnetico. Che inizi ad indagare su di voi, che faccia ricerche e che alla fine vi trovi ma quando è troppo tardi e non può dirvi quanto siate telentuose e quanto sia preziosa l’eredità lasciata ai posteri.

La storia di Vivian Maier è agrodolce e sembra uscita dal romanzo di un fantasioso e malinconico scrittore. Se non la conoscetene rimarrete rapiti così come rimarrete rapiti dalla sua fotografia. Vi consiglio quindi di non farvi scappare la mostra fotografica Vivian Maier, Nelle sue mani all’Arengario di Monza fino all’8 gennaio. Più di cento scatti, la maggior parte dei quali mai esposti in Italia, dell’artista newyorkese, riconosciuta post mortem tra le maggiori esponenti della street photography statunitense.

Se non fosse stato per la tenacia di John Maloof, un ragazzo americano, probabilmente di Vivian non avremmo mai saputo nulla.
Nel 2007, infatti, John, volendo fare una ricerca sulla città di Chicago, e avendo poco materiale a disposizione, comprò in blocco per poco più di 300 dollari, il contenuto di un box contenente vari oggetti espropriati ad una donna che aveva smesso di pagare l’affitto. Mettendo ordine tra le varie cianfrusaglie (cappelli, vestiti, scontrini) Maloof trovò una cassa contenente centinaia di negativi e rullini ancora da sviluppare. Dopo aver stampato alcune foto, Maloof le pubblicò su Flickr ottenendo un interesse entusiastico e virale e l’incoraggiamento della community ad approfondire la sua ricerca. Pertanto fece delle indagini sulla donna, di nome Vivian Maier, che aveva scattato quelle fotografie e venne a sapere che quest’ultima non aveva famiglia ed aveva lavorato per tutta la vita come bambinaia soprattutto nella città di Chicago. Ogni volta che aveva del tempo libero, Vivian girava per la città impugnando una macchina fotografica Rolleiflex e fotografando bambini, gente comune, animali, oggetti abbandonati, graffiti, giornali e ogni altro elemento legato alla realtà.
Vivian morì nell’aprile del 2009, poco tempo prima che John Maloof, che cercava sue notizie e voleva valorizzare la sua opera, potesse trovarla e incontrarla.

La maggior parte delle sue foto sono street photos ante litteram e può essere considerata una antesignana di questo genere fotografico nonché dei selfie: sono molti, infatti, gli autoritratti, in cui non guarda mai direttamente verso l’obiettivo ma utilizza specchi o vetrine di negozi come superfici riflettenti.
Vivian non seppe mai quanto grande fosse il suo talento. O forse non le interessava farlo sapere al resto del mondo.
Eppure le sue fotografie sono una grande ricchezza. La sua capacità di cogliere ogni più piccolo particolare della vita quotidiana era straordinaria. Il suo spirito curioso e la sua attenzione ai dettagli è evidente soprattutto nei ritratti. Le sue fotografie sono finestre affacciate alla realtà, anche se quella realtà è di oltre cinquant’anni prima. Immagini profonde e mai banali che raccontano uno spaccato originale sulla vita americana della seconda metà del Ventesimo Secolo.

SONO LA BAMBINA, L’ADOLESCENTE E L’ADULTA. E TU, QUANTE ETA’ HAI?

Avevo quattro anni quando mia madre mi iscrisse a ginnastica artistica. Ricordo ancora che mi diedero un body blu con le maniche ed il colletto a V color carne e mi sembrò bellissimo. Ero la più piccola del corso e al saggio di fine anno, attraversai la sala, in fila indiana, in mezzo a bambine molto più grandi di me e quando fu il mio turno non riuscii a fare la ruota. I genitori risero. Ancora me lo ricordo. Ci rimasi male ma la mamma mi spiegò che sorridevano semplicemente perché ero così piccola che facevo tenerezza.

Avevo dodici anni, stavo giocando una partita di pallavolo e l’allenatore di una polisportiva, colpito dalla mia altezza, mi chiese se volessi allenarmi con la sua squadra, passare con le “grandi” e fare partite vere con la divisa e il logo dello sponsor sulla maglietta. Mi sentii importante, in quel momento, e risposi di sì senza sapere che le “grandi” non mi avrebbero mai accettato, che la mia timidezza non avrebbe intenerito, che la spensieratezza delle partitelle nella vecchia palestra, con i muri scrostati e le bambine gentili e sorridenti, sarebbe stata un lontano ricordo, che l’ansia da prestazione mi avrebbe consumato e ad ogni errore sarei stata massacrata perché acerba.

Avevo quattordici anni quando mi innamorai di un ragazzino di Padova e presi il treno da sola, per la prima volta, di nascosto, raccontando una bugia ai miei genitori. Al ritorno persi il treno, arrivai a casa alle nove e mezza di sera, spaventata, tremante. Trovai i miei davanti alla porta, più spaventati di me (al tempo non c’erano mica i cellulari). Mamma mi diede uno schiaffo. Io non compresi il suo terrore, lei non capì i miei primi tormenti amorosi.

Avevo quindici anni quando mi innamorai del più bello del liceo. Aveva i capelli biondi, gli occhi azzurri e avrebbe potuto fare il modello. Io ero brutta, goffa, con una permanente improbabile e sprizzavo insicurezza da tutti i pori. Nei cinque anni di innamoramento platonico lo vidi passare da una ragazza all’altra: belle, brutte, stupide, secchione ma non scelse mai me, neppure per sbaglio. L’ho rivisto molti anni dopo. Bruttarello, goffo e pure un poco scemo.

Avevo diciotto anni quando presi l’aereo per la prima volta e partii, da sola, per l’altro capo del mondo: Australia, per quasi tre mesi. A Sydney mi aspettavano un cugino e degli zii mai visti e che ancora porto nel cuore. Pensavo che quel viaggio mi avrebbe svoltato la vita: tornai con nove chili in più, un ottimo inglese e le speranze bruciate.

Avevo diciannove anni quando conobbi il dolore del tradimento. Al tempo mi sembrava che la terra si squarciasse sotto ai miei piedi e mi inghiottisse nei suoi abissi.

Avevo ventisette anni quando conobbi il dolore della morte. Un cugino muscoloso e forte ridotto a 30 chili, il respiro affannato, il freddo nelle ossa. E pochi mesi dopo il nonno, il mio gigante buono, chiudeva gli occhi color ghiaccio per sempre.

Avevo trent’anni quando vestita di organza bianca misi piede in chiesa e presi la decisione più saggia della mia vita.

Avevo trentuno anni quando conobbi l’aborto, nel peggiore dei modi, lontano da casa, con una dottoressa poco degna di quel titolo e priva di qualsiasi sensibilità.

Avevo trentadue anni quando presi in braccio per la prima volta Riccardo. Era lungo lungo e magro magro e non riuscivo a smettere di piangere e ridere.

Avevo trentatré anni quando mia nonna se ne andò portandosi via un pezzo del mio cuore.

Avevo trentasette anni quando mi smarrii nel buio. Ho conosciuto il panico, la paura, la solitudine. Ho vomitato dolore e rabbia, ansia e patimento ma sono rinata e, rinascendo, è stato tutto più bello di prima.

Ho quarantuno anni, quasi quarantadue, e dentro di me vive la bimba di quattro anni che sbaglia a fare la ruota, la dodicenne che vuole sentirsi grande, la quattordicenne che è scappata di casa, la quindicenne che si nutre di amori platonici, la diciottenne che ha paura di mangiarsi il mondo, la diciannovenne che scopre i sentimenti veri, la ventenne che incontra la morte, la trentenne che vuole la vita.

Non sono la somma delle età che ho avuto ma un insieme di quelle età. Convivono in me la bambina, l’adolescente e l’adulta.
Convivono in questo susseguirsi di giorni che paiono lenti ma scivolano come acqua tra le dita, e cercano di vivere al meglio delle proprie possibilità.

Ecco perché non smetto di sognare, di evolvermi, di cercare.

Sono irrequieta, lo sono perché non mi arrendo, perché voglio risolvere le cose che ho lasciato in sospeso, perché sono convinta che un filo sottile unisca le vite di ciascuna età e perché voglio che un giorno quella bambina di quattro anni riesca a fare quella cavolo di ruota.

IL RACCONTO DEL MESE: CANTAMI UNA CANZONE

Antonio ha le spalle curve, le mani doloranti e la faccia stanca.
Antonio inarca le grosse sopracciglia bianche che, così, compongono un arco sul suo viso scarno e manda fuori un grosso sospiro, che sa di nicotina e rassegnazione.
Antonio sistema il colletto liso della camicia bianca e aggiusta il gilet che sta un po’ largo. E’ in ritardo, anche oggi, e al titolare Domenico, per tutti Mimmo, questa cosa non piacerà.
Mimmo ha solo trentadue anni e l’atteggiamento del boss ma non ha fatto nulla per meritarsi quella posizione. E’ semplicemente nato nella famiglia giusta, quella che in oltre trent’anni si è costruita, forse anche illecitamente, una catena di ristoranti-pizzerie che rendono bene e consentono di tenere tutto in famiglia passando i locali di padre in figlio e di zio in cugino.
Antonio ha quasi settant’anni e da cinquanta lavora come cameriere. Mai un richiamo, mai un appunto. Antonio pensa di essere nato per fare il cameriere, la verità è che avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Antonio sa fare il suo mestiere, ha forza di volontà, garbo ed attenzione per ogni particolare. Antonio si sa rapportare alla gente, ne comprende i bisogni e i desideri. Antonio avrebbe potuto essere qualsiasi cosa e in quella cosa sarebbe stato eccellente.
A nessuno tuttavia importa che lui sia eccellente. E’ un cameriere e come tale viene trattato. Mimmo non ha le capacità per comprendere quanto la competenza di Antonio possa fare la differenza. A lui importa collezionare orologi e contare l’incasso a fine serata.
Ai colleghi camerieri di Antonio importa ancora meno. Sono per lo più ragazzetti senza voglia di studiare e tantomeno di lavorare. Si muovono tra i tavoli con la strafottenza di chi non teme di perdere il posto di lavoro perché sa che tanto, quel posto di lavoro, lo lascerà comunque. Con loro Antonio lavora il doppio perché deve badarli come si bada il nipotino capriccioso e viziato. Non può fare altrimenti, lui è il più anziano ed il capro espiatorio. Più di una volta ha raddrizzato serate particolarmente svogliate ma raramente si è sentito dire grazie.
Antonio si muove rapido e silenzioso, con dignità e fierezza, con il tovagliolo sul braccio come da tradizione e un occhio più attento alle signore alle quali ancora sposta e spolvera velocemente la sedia prima di farle accomodare.
Antonio pensa spesso di smettere. Soprattutto quando Mimmo, con il passo sgraziato, si porta dietro le tovaglie appena apparecchiate costringendolo a sistemarle di nuovo o quando gli nega un piccolo anticipo sulla paga, rigorosamente in nero, utile per pagare la bolletta del riscaldamento, aiutare sua figlia che è stata licenziata e ha due creature da mantenere o le cure di Antonia, sua moglie.
Buffo vero? Marito e moglie hanno lo stesso nome. E’ proprio grazie a quel particolare che lui, più di quarant’anni prima, trovò il coraggio di rivolgerle la parola ed imbastire una conversazione. Antonia era una ragazza bellissima, con gli occhi grandi e le fossette nelle guance. Cantava nel coro della chiesa e Antonio credeva che la sua voce ingelosisse gli angeli. Quante messe si era dovuto sorbire, lui, che al tempo aveva unicamente la domenica mattina per riposare, solo per poterla guardare indisturbato.
Nel retro della cucina del ristorante, in un fazzoletto di cortile interno in cui ci si rifugia per l’ultima sigaretta prima del turno, tra la puzza di muffa e di fritto, Antonio, a volte, chiude gli occhi e riesce ancora a vederla, in piedi, mentre canta fiera e gioiosa, nel suo vestito azzurro della festa, con lo sguardo perso nell’orizzonte.
“Che cazzo fai, muoviti che tra cinque minuti si apre!” gli urla Mimmo riportandolo alla realtà.
Antonio butta via la sigaretta ancora a metà, si asciuga gli occhi e va a lavarsi le mani. La sala è in perfetto ordine, tutto è pronto. Quel richiamo non aveva senso, avrebbe potuto tranquillamente fermarsi ad ascoltare Antonia cantare ancora un poco. Ma nulla ha un senso in quel posto, Antonio lo sa bene. Ecco perché pensa spesso di smettere ma la sola pensione non basta.
La serata è difficile. E’ sabato, il locale è pieno, Mimmo e il pizzaiolo hanno litigato, sono entrambi nervosi. Il modo migliore per superare indenni le ore di lavoro è stare a testa bassa, dire sempre sì ed essere veloci. C’è una comitiva di adolescenti che urla troppo e si lancia molliche di pane che poi Antonio dovrà cercare in ogni angolo del pavimento. Ci sono quattro bambini che corrono e urlano per la sala, uno di loro ha fatto cadere un bicchiere, un altro per poco non rovescia un vassoio pieno di piatti e nessuno degli adulti che li accompagna dice niente perché troppo impegnato a conversare. C’è un uomo che ha mandato indietro una pizza troppo cotta e una birra troppo calda e una ragazza intollerante ad ogni alimento che vorrebbe modificare un piatto (precotto) cambiando circa dieci ingredienti.
Antonio non si scoraggia, nella sua lunga carriera ha visto e subìto di peggio. Pensa ad Antonia, a casa, sulla sua poltrona, con la coperta di lana sulle gambe mentre guarda la tv o scorre vecchie foto.
E’ così che si scalda il cuore Antonio, andando a casa con la mente mentre la sala è un inferno di voci, risate sguaiate e posate che cadono.
Quando Antonio finalmente si toglie il grembiule è l’una passata. Mimmo è già andato via, probabilmente a sputtanarsi l’incasso della serata in qualche locale dove ordinerà bottiglie costose solo per impressionare gli amici. E’ così che butterà via i soldi che ad Antonio ha negato. Soldi che gli impedirebbero di ricevere l’ennesima telefonata dalla signorina della finanziaria, quella che con la vocina delicata e il tono gentile pronuncia parole che affilano come rasoi: rate scadute, ufficiali giudiziari, pignoramento della pensione.
“Chi era al telefono, Anto’?”
“Nessuno, Nenè, le solite offerte commerciali dei telefonini.”
“E tu perché ci perdi tempo? Metti giù. Senti, Anto’, Chiara mi ha detto che a Filippo devono mettere l’apparecchio per i denti. Che è costoso assai. Mo’ gliel’ho detto che magari chiedi un anticipo della paga a Don Mimmo e poi quando arriva la pensione l’aiutiamo noi. Ma che hai Antonio? Sei stanco?”
“No, sto bene. Mo’ ci penso io, non ti preoccupare. Don Mimmo è bravo vedrai che m’aiuta. Lo sai a che pensavo, Nenè?”
“A che?”
“Ti voglio regalare un bel vestito azzurro. Come quello che avevi quando t’ho conosciuta, ti ricordi?”
“Uh Anto’, ancora a quel vestito pensi. Mo’ so’ vecchia mo’. A che mi serve un vestito nuovo? E poi non dobbiamo scialacquare soldi.”
“Quale vecchia, fossero tutte come a te! Ai soldi ci penso io. Il giorno che c’ho libero posso andare da Peppe, a mare, dice che è sempre pieno e ha bisogno di gente.”
“Ma pure il giorno libero vuoi lavorare, mo’?”
“Basta parlare di lavoro. Nenè, cantami quella canzone, quella mi piace assai.”

ANSIA DA REGALO? NON PIU’ CON LA MINI PLANNER DI FRANCESCA MEANA DESIGN

Avete l’ansia da regalo? Temete di arrivare all’ultimo con la sola possibilità di acquistare sali da bagno o la trousse di Pupa? Volete un’idea originale dai costi contenuti e che vi faccia fare un figurone?

Ho la soluzione per voi.

La Mini Planner di Francesca Meana Design è uno degli oggetti più originali che circolano in questo momento e credo che presto diverrà un must have.

Che cos’ha di originale? TUTTO.

Intanto la copertina è personalizzabile. Ciò significa che oltre a poter scegliere tra una vasta gamma di immagini e colori, potete renderla unica facendoci scrivere sopra il nome, il nick usato sui social o il soprannome.

L’originalità non si trova solo all’esterno ma anche all’interno della mini planner in quanto la sua creatrice, insieme ai giorni e ai mesi rigorosamente scritti a mano, ha inserito quelli che lei chiama “elementi di disturbo” ossia disegni, commenti e tanto spazio per scrivere pensieri o semplicemente liste di cose da fare. Insomma da semplice agenda può trasformarsi in un simpatico diario sul quale appuntare quello che verrà nel nuovo anno.

E’ stata concepita per restare aperta sul vostro tavolo o la vostra scrivania ma si trasporta facilmente in borsa grazie alle dimensioni contenute.

Per info, aggiornamenti e disponibilità potete andare sulla pagina Facebook che trovate qui.

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N+1 VITE TORNA A BOLOGNA SABATO 10 DICEMBRE

Per scrivere occorrono fantasia, pazienza, lucidità, tempo.
O, almeno, questo è ciò che succede quando non hai idee e pensi troppo a ciò che vuoi dire.

Ci sono momenti, invece, in cui le dita danzano sulla tastiera e le immagini che stai descrivendo scorrono così velocemente nella tua mente che quasi hai paura che, nel tempo necessario a trascriverle, tu possa dimenticarle.
E’ un piccolo miracolo ogni volta e ogni volta penso che sarà l’ultimo.

L’ultimo miracolo è accaduto con LA LISTA DEI BUONI MOTIVI PER LASCIARTI il racconto che ho scritto questa estate e che è stato scelto ed inserito da Gemma Edizioni nel nuovo libro N+1 Vite (in vendita qui).

LA LISTA DEI BUONI MOTIVI PER LASCIARTI racconta di una donna decisa a lasciare il proprio compagno per motivi che apparentemente paiono plausibili ma che nascono unicamente dalle sue insicurezze. Essendo impulsiva e codarda, decide di non attendere il rientro di lui a casa ma di andare sul suo posto di lavoro così da poterlo lasciare e poi andarsene per sempre, senza concedergli il diritto di replica. Il compagno, però, lavora in una clinica psichiatrica e riuscire a parlargli non sarà così facile.

Di questo e degli altri racconti presenti in N+1 VITE parleremo alla presentazione che si terrà sabato 10 dicembre alle ore 17.00, presso la LibrOsteria Vamolà in via delle Moline 3 a Bologna.

Le presentazioni di NVITE e N+1 VITE sono esperienze che vi consiglio di provare almeno una volta.
Contrariamente a quanto accade di solito, i veri protagonisti delle presentazioni non sono solo gli autori ma anche le persone che vi assistono. Perché N+1VITE parla di storie che tutti abbiamo vissuto. Amore, amicizia, famiglia, malattia, paura coinvolgono tutti e tutti possono ritrovarsi tra le pagine del libro.

Senza contare che la Gemma Edizioni fa le cose in grande e ha chiamato dei veri attori per leggere dei piccoli stralci dei racconti.

Infine potrete acquistare una copia del libro e farvi scrivere una dedica da me e dagli autori presenti. Volete mettere che bel regalo di Natale?

Io sono pronta ad emozionarmi insieme a voi.

Vi aspetto!

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Presentazione NVITE Vamolà Bologna Aprile 2016
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Presentazione NVITE Marzo Roma 2016

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IL PRODOTTO DEL MESE: OCEAN SALT DI LUSH

Struccarsi è una delle attività più seccanti da compiere per una donna, subito dopo fare la ceretta e raccogliere i calzini del compagno sparsi per casa.

Eppure è fondamentale che la pelle sia sempre pulita a maggior ragione se avete quei fastidiosissimi pori dilatati che spesso e malvolentieri si trasformano in punti neri.

Ecco allora che nel vostro armadietto del bagno, accanto allo struccante e ad una buona crema peeling non può mancare lo scrub. Trovarne uno veramente efficace, tuttavia, non è stato facile, almeno per me. Quelli da viso infatti spesso sono troppo leggeri, contenendo molta più crema che granuli. Pertanto, levigare la pelle diventa difficile perché l’ “effetto sabbia” che mi piace e che mi dà l’idea che porti veramente via le cellule morte, è sempre e solo accennato.

Ocean Salt di Lush è stato una rivelazione. E’ una pasta dal profumo di mare, infatti contiene sale marino, ricco di minerali, vodka e lime (per ricordarvi le vostre imbarazzanti e alcoliche serate estive).

L’effetto è sorprendente, la pelle è pulita, liscia e morbidissima. Io lo uso una o due volte la settimana oppure quando ritocco il trucco del viso più volte in una giornata (esatto, sono quella che applica strati su strati se resta truccata dalla mattina alla sera tardi).

Unico accorgimento: se avete la pelle molto sensibile vi consiglio di massaggiare il prodotto con delicatezza.

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L’UOMO DELLA VITA, A BOLOGNA, LO TROVI GRAZIE A UN CORSO

Si impara a leggere e a scrivere, si impara a suonare uno strumento musicale, si impara a fare yoga perciò si può anche imparare l’arte della comunicazione tra uomo e donna.
Così la pensa Ivanna Kovalenko, life-coach, esperta in relazioni interpersonali e psicologia comportamentale, autrice e conduttrice di diversi corsi finalizzati al benessere psicofisico organizzati dall’Associazione Bellezza Libera di cui è Presidente.

Ivanna, qual è lo scopo di questi corsi?
Le persone seguono un percorso volto a raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, un equilibrio che le renda più sicure di se stesse e di conseguenza più sicure con gli altri. Io le aiuto a tirare fuori il loro potenziale spesso soffocato dai condizionamenti esterni e dalle manipolazioni mentali.
Una volta acquisita questa consapevolezza si riescono a raggiungere risultati prima insperati.

Come si acquisisce maggiore consapevolezza di sè?
Aumentando l’autostima.
L’autostima ha radici profonde, si forma già alla nascita e la sua mancanza va ricercata nella famiglia e nel percorso di vita.
Fin da bambini ci insegnano che è tutto un compromesso: “Se fai il bravo ti do una caramella, se studi ti faccio un regalo” e questi compromessi continuano crescendo, all’università e nel mondo del lavoro. Ci dicono che dobbiamo fare i bravi e ci dicono come dobbiamo farlo. Alla fine si rischia di vivere facendo il possibile per accontentare gli altri e questo va a scapito della nostra personalità e l’unico risultato che otteniamo è quello di annullare il nostro potenziale e avere un’autostima bassissima.

Perché ti sei concentrata sul rapporto uomo – donna?
Perché è quello che mi chiedono le persone. Non è il lavoro, non è il rapporto con gli altri in generale. La maggior parte delle persone, soprattutto donne, che si rivolgono a me chiede una stabilità in campo affettivo o di risolvere la crisi che stanno vivendo con il partner. Il rapporto uomo – donna è davvero in crisi.

Per quale motivo secondo te c’è bisogno di imparare l’arte della comunicazione uomo – donna?
Per migliorare la nostra vita sentimentale. Andiamo avanti a tentativi, sulla base delle esperienze avute e magari il problema per cui le nostre storie continuano a naufragare è dentro di noi. Se non lo risolviamo continueremo a fallire.
Inoltre si tende a costruire i rapporti sulla base di stereotipi sociali. Quegli stereotipi però non vanno bene per tutti perché siamo tutti diversi.

Qual è la maggiore lamentela delle donne?
Si lamentano perché gli uomini non si assumono responsabilità nel rapporto di coppia. Il punto è che di questo tendono sempre ad attribuire all’uomo tutta la colpa mentre io insegno a cambiare punto di vista. Ad assumersi le proprie responsabilità, a capire che la loro vita è frutto delle loro azioni, del loro modo di essere, del loro modo di pensare.
Quando vengono delle ragazze che sono in crisi con il partner inizialmente vorrebbero che lui partecipasse ai corsi ma quando, grazie ai miei insegnamenti, le donne cambiano, mi raccontano che è cambiato anche il partner che di fatto non ha mai partecipato ad una sola lezione.

Qual è il problema più evidente che hai riscontrato e sul quale devi lavorare nel rapporto uomo – donna?
Uscire dallo stereotipo. Donne adulte (l’età delle partecipanti va dai 30 ai 50 anni, ndr) che ancora sono convinte che se non si concedono subito ad un uomo lo perdono. Questa è la più grande manipolazione mentale che l’uomo abbia mai fatto sulla donna e purtroppo è ancora molto radicata. Viviamo in un mondo ancora molto maschilista e la donna per sopravvivere assume atteggiamenti maschili ma così facendo indebolisce l’uomo ma soprattutto gli toglie ogni curiosità. Ai nostri giorni l’uomo non fa alcuna fatica ad avere rapporti occasionali e l’unico modo per far sì che si fermi è stimolare la sua curiosità. Lo sai che l’innamoramento maschile è un fatto ormonale?

Questa non l’avevo mai sentita. Spiegati meglio.
Le fasi ormonali nell’uomo sono tre.
C’è la prima fase che è quella del testosterone, che scatta quando l’uomo incontra una donna. C’è attrazione fisica e il testosterone sale. Se la donna cede, il testosterone dopo il rapporto sessuale scende. Potrà risalire ma un rapporto basato sul testosterone durerà sì e no pochi mesi.
Se invece la donna non cede, quel testosterone si trasformerà in dopamina che è l’ormone della passione. Se la donna cede in questa fase il rapporto magari durerà qualche anno ma sarà destinato comunque a finire.
Se la donna ancora in questa seconda fase non cede, la dopamina si trasformerà in oxitocina che è l’ormone del legame ed è in quella fase che nasce l’amore e la voglia di stabilità.

Quindi è solo una questione di tempo. Insomma se un uomo che ci piace molto ci corteggia possiamo dirgli “Guarda ci risentiamo quando sei nella fase di oxitocina!”
(Ride) Beh praticamente sì! Scherzi a parte, uomini e donne hanno tempi diversi e le donne questo spesso non lo capiscono. Bisogna imparare a rispettare quei tempi. Per farlo e per gestire le varie fasi dell’uomo occorre ovviamente grande consapevolezza di sé e grande autostima, che è quello che voglio insegnare.

***

L’Associazione ha sede in via G. Massarenti n. 258/c. Ogni tre mesi organizza una serata di presentazione, un open day a cui si può partecipare per ottenere maggiori informazioni sui corsi.
Il sito è ancora in costruzione ma trovate tutti i recapiti qui: www.bellezzalibera.com

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Ivanna Kovalenko Presidente dell’Associazione Bellezza Libera

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I DUE DI PICCHE GNE’ GNE’ GNE’

Chi mi segue da tempo sa che non sono una persona che tende a fare di tutta un’erba un fascio. Avendo poi io una mentalità più maschile che femminile, devo ammettere di solidarizzare molto più spesso con gli uomini che con le donne. Tuttavia, c’è una categoria di uomini che proprio non sopporto e sono quelli che io chiamo “i due di picche gnè gnè gnè”.

I due di picche gnè gnè gnè sono quelli che di fronte al rifiuto di una donna solitamente hanno una di queste due reazioni: offendono il loro oggetto del desiderio oppure tentano di farlo sentire un’idiota giocando sul fraintendimento.

Sulla prima categoria c’è poco da dire. Fino ad un minuto prima sei “una donna con la D maiuscola, quella con le stelle rubate al cielo e messe al posto degli occhi, quella che scrive benissimo, si muove benissimo, si veste benissimo” e che, magicamente, un minuto dopo il NO, si trasforma nella “stronza figa di legno ma chi ti credi di essere devi restare zitella a vita”. Solitamente sono solo dei cafoni e vanno lasciati nella melma in cui nuotano tutto il giorno.

La seconda categoria invece è quella che trovo più insopportabile. Sono quelli che si infilano nella tua vita in punta di piedi con il fare da amicone pizza/birra e inoffensivi come cuccioli di Panda.

Quelli che ti chiedono come stai, che vogliono sapere come è andata la giornata o che commentano una tua foto senza fare complimenti alla persona ma disquisendo unicamente sulla scelta del filtro o della location.

Ovviamente di fronte a questo atteggiamento nessuna ha motivo di essere scortese, anzi, è piacevole poter scambiare quattro chiacchiere con l’altro sesso senza doversi preoccupare di respingere delle avances. Ma ecco che proprio quando abbassiamo le difese, arrivano frasi o atteggiamenti che, pur non espliciti, ci fanno chiaramente capire che il tizio ci stia provando.

A questo punto di fronte ad un no, il due di picche gnè gnè gnè ha sempre la stessa reazione tra l’indignato e l’offeso perché “cara mia, HAI FRAINTESO, cioè ma davvero pensi che con tutte le donne che ogni giorno attraversano il mio letto io abbia bisogno di venire ad elemosinare attenzioni da te?”

Questa è una vera e propria manipolazione mentale che spesso porta le donne più sensibili addirittura a scusarsi per aver OSATO pensare ad una cosa del genere.

Una manipolazione mentale che col tempo, purtroppo, inevitabilmente ci condiziona e trasforma ogni interazione con l’altro sesso in una fonte di stress.

Ora, veramente, capisco che un NO possa bruciare. Insomma io ci rimango male se la cassiera dell’Esselunga non mi saluta, figuriamoci se ricevo un rifiuto dal tipo che mi piace.

Tuttavia, reazioni come quelle sopra descritte, anche se probabilmente fanno sentire meglio chi le pone in essere, in realtà fanno fare la figura dei coglioni.

Rispondere “Pazienza, io ci ho provato perché sei una bella persona e mi piaci” darebbe a voi uomini la possibilità di uscire di scena da veri signori lasciando peraltro una buona impressione.

E se state pensando “Sì ma con le buone impressioni non si scopa” ricordatevi sempre che la donna che parla bene di voi ha delle amiche.

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Ora io non voglio fare quella che fa la marchetta ma una cosa ve la devo raccontare perché è giusto che quando qualcuno lavora bene e con grande professionalità vada encomiato.
Ieri sono stata da EQUIPE VITTORIO perché volevo fare qualche piccola modifica al colore. Diciamo che sono arrivata e ho cominciato a sproloquiare dicendo che “volevo la base più chiara ma non bionda, più naturale ma che non mi venissero colori diversi, degradante ma senza stacco, con ciocche sottili ma non troppo altrimenti sarebbero sparite ma che non si vedessero”. Insomma un altro parrucchiere mi avrebbe mandato a quel paese (me lo sarei quasi meritato) oppure avrebbe risposto “sì sì” e avrebbe fatto di testa sua.
Simona (la ragazza addetta al colore, le cui mani andrebbero assicurate come il sedere di Jennifer Lopez) mi ha ascoltato attentamente e abbiamo discusso del lavoro per venti minuti buoni (neanche fossimo ad un consiglio di amministrazione della Unicredit).
Alla fine però lei non solo ha compreso esattamente cosa volevo ma lo ha realizzato dandomi quello che solo i grandi parrucchieri sanno dare: la naturalezza. Ad occhi meno esperti il cambiamento sembrerà impercettibile. Ma è proprio in questo che sono grandi, lavorare affinché ciò che fanno non si veda, non “marchi” i capelli e faccia venire il dubbio, persino a me, che sia nata con questo colore.
BRAVI. PUNTO.

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